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«Così riesco a dimenticare per un momento la miseria»

Nella notte tra l’8 e il 9 settembre 2020 un incendio ha quasi completamente distrutto il sovraffollato campo profughi di Moria, costruito cinque anni fa sull’isola greca di Lesbo.

Le circa 12 000 persone che vi abitavano sono riuscite a mettere in salvo solo il necessario e nel giro di poche ore si sono ritrovate in mezzo alla strada, senza un tetto sopra la testa, senza acqua, senza cibo e senza quel posto dove, negli ultimi mesi o anni, avevano imparato a sentirsi un po’ a casa. «Dormivo profondamente quando sono divampate le fiamme», racconta il sudanese Ehmad. «Quando mi sono svegliato ero già circondato dal fuoco. Ho avuto molta paura, perché mi ha fatto pensare all’incendio in cui ho perso mia moglie e i miei due figli».

Ehmad è arrivato a Lesbo un anno fa ed è stato uno dei primi ad andare a vivere nel nuovo campo dopo l’incendio di Moria. Il posto, che in seguito ha preso il nome di New Lesbos Registration and Identification Centre (nuovo centro di registrazione e identificazione di Lesbo) era ancora in fase di costruzione. L’esercito greco l’ha allestito in pochissimo tempo dove in passato c’era un terreno di esercitazione militare, vicino al mare. In quel periodo, molti profughi e migranti si sono rifiutati di trasferirsi nelle tende allestite nel nuovo centro perché temevano che si ricreasse una «seconda Moria», una decisione che Ehmad non riusciva a capire. «Vivere per strada non è una buona cosa. Qui mi sento più al sicuro e per lo meno ho una tenda in cui dormire», racconta il trentasettenne prima di rimettersi gli auricolari. «Per fortuna sono riuscito a salvare almeno queste», aggiunge sorridendo. «Le uso per ascoltare storie in inglese, per migliorare la mia conoscenza della lingua e riuscire a dimenticare per un po’ la miseria». Per Zeba, una donna afghana, trovarsi nel nuovo campo non è di conforto. «Non sto per niente bene», dice. «Due mesi fa ho perso il bambino che stavo aspettando e le emorragie non si sono ancora fermate», racconta la trentaduenne, che ritiene responsabile del suo aborto spontaneo la costante paura provata a Moria. «Di notte spesso rimanevo sveglia, perché nel campo si erano formati gruppi di uomini che andavano in giro nel buio armati di coltelli. Ero terrorizzata, e questa paura mi ha portato via il mio bambino». Zeba e suo marito, che sono arrivati un anno fa a Lesbo, non sono riusciti a salvare quasi nulla dall’incendio. «È bruciato tutto. Tutto! Non ho più vestiti e quello che mi resta è un paio di mutande, un bel problema nelle mie attuali condizioni».

Un paio di giorni dopo l’incendio a Moria sono arrivate a Lesbo quattro tonnellate di beni di prima necessità dell’Aiuto umanitario della Svizzera, l’unica organizzazione governativa sul posto. Gli aiuti sono stati portati sull’isola con un aereo appositamente noleggiato. L’esercito greco si è occupato di scaricare il materiale e di trasportarlo al campo. «Domani sera nel campo ci sarà acqua potabile pulita», ha dichiarato allora Patrick Kilchenmann, uno dei quattro esperti di acqua, impianti sanitari e igiene che si sono dovuti occupare di costruire un sistema di approvvigionamento di acqua potabile nel nuovo centro. Una grande sfida per il team svizzero, perché in quel momento non era ancora chiaro da dove dovesse provenire l’acqua per le cisterne fornite. I nostri esperti ed esperte hanno fatto telefonate, cercato e infine trovato un fornitore che l’indomani avrebbe portato al campo i 30 000 litri d’acqua potabile necessari. E in effetti alle 17.00 del 16 settembre dai rubinetti scorreva acqua potabile pulita, e centinaia di persone sono arrivate con taniche, bottiglie in PET, contenitori e carriole per prendere questo bene tanto necessario alle loro famiglie. È stato un momento speciale per gli abitanti del campo, che avevano tanto bisogno di questa preziosa risorsa. «Perché l’acqua è vita», ha affermato Narges dall’Afghanistan.

In breve tempo si è sparsa la voce che nel settore Blue-C del campo c’era acqua potabile e a seguito della notizia si è formata una lunga coda e il prevedibile caos. Ben presto alcuni membri del team svizzero e volontari tra gli abitanti del campo sono dovuti intervenire per controllare la folla accorsa ai rubinetti e la distribuzione ordinata dell’acqua. «Nei punti di erogazione dell’acqua si percepisce una tensione latente», racconta Jean-Luc Bernasconi, capo della squadra svizzera di pronto intervento a Moria.

L’impiego di aiuto immediato a Lesbo è durato 20 giorni, e anche se non sono mancate critiche che hanno attribuito all’Aiuto umanitario della Svizzera la responsabilità di costruire una «seconda Moria» con condizioni dignitose, dal punto di vista umanitario non vi era alternativa. Si sarebbe dovuto distogliere lo sguardo e non prestare aiuto? Già da giorni i profughi dovevano fare i conti con una quantità insufficiente di acqua potabile e l’aiuto d’emergenza era assolutamente necessario. Trentaquattro gradi all’ombra senza abbastanza acqua a disposizione: è una cosa che non si riesce neanche a immaginare.

Ora bisogna continuare a dare assistenza alle persone, per esempio attraverso il sostegno all’ospedale locale Vostanio, nel capoluogo Mitilene, a cui l’Aiuto umanitario della Svizzera invia materiale protettivo per l’emergenza COVID e altri strumenti necessari, come i respiratori. L’ospedale locale è al collasso. Al momento l’isola di Lesbo, su cui vivono circa 86 000 persone, ospita approssimativamente12 000 profughi, pari a un terzo del numero degli abitanti di Mitilene. Anche l’approvvigionamento idrico e le strutture sanitarie devono essere migliorate. In questo ambito la Svizzera lavora a stretto contatto con le autorità greche.

L’Aiuto umanitario non può risolvere problemi di natura politica e ha solo limitate possibilità di azione. L’obiettivo fondamentale dell’aiuto umanitario è salvare vite umane e alleviare le sofferenze. Ma le persone hanno anche bisogno di prospettive, perché dietro ogni numero che si sente o legge nei media ci sono i destini di esseri umani.

 

Testo: Billi Bierling, membro del Corpo svizzero di aiuto umanitario, ottobre 2020